lunedì 28 marzo 2011

L'influenza del brand sul comportamento: traguardo commerciale o problematica sociale?



Probabilmente già tutti sapete quanto un brand possa influire sul comportamento delle persone e, in linea generale, sapreste individuarne anche il come, tuttavia in questa sede l'intenzione non è quella di ripetere discorsi che avete già letto altrove. C'è ancora qualcosa da dire.


Vorrei illustrarvi questo argomento partendo da un'esperienza personale. Immaginate una stazione ferroviaria, un lunedì mattina: la sala d'aspetto piena di persone, tutti non curanti o quasi di quanto avviene intorno a loro. Solo vedendo entrare due ragazze ed un signore un po' attempato gli sguardi, tra l'incuriosito e l'attonito, si alzano, vagano e studiano, fra un proliferare crescente ed improvviso di voci. Le ragazze, curate nel minimo dettaglio, sembrano essere uscite dalle pagine di una rivista: magre, estremamente truccate per essere le 7.30 del mattino, con la fluente capigliatura bionda ben pettinata, camminano poco stabilmente su tacchi vertiginosi, cercando di celare lo sforzo fisico a cui sono evidentemente sottoposte e la stanchezza mattutina che i loro occhi suggeriscono. Gli abitini succinti e, forse, un po' troppo leggeri per il pungente freddo invernale, lasciano poco all'immaginazione e suggeriscono subito che non sitratta di tre persone comuni che si recano in stazione per prendere il treno; si ha l'impressione che ci sia di più, e che non si tratti di qualcosa di moralmente troppo limpido.


Si denota immediatamente che le ragazze si sentono in imbarazzo per l'improvvisa - e forse troppa - attenzione ricevuta da tutti i presenti nella piccola sala d'aspetto; tuttavia, esortate dal signore che le accompagna, avanzano un poco titubanti verso la vetrata, "così vi si vede bene anche da fuori", dice lui. Mentre camminano, le due giovani tengono stretta tra le mani una borsetta firmata Gucci, mostrandola spavaldamente, orgogliosamente, non saprei dire se più come un trofeo o uno scudo.


Ad un conoscente, il signore che le accompagna e che tanto desta curiosità tra i presenti, spiega la situazione, permettendo a tutti così di ascotare e capire: lui, proprietario di un piccolo cabaret di provincia, ha escogitato questo tipo di pubblicità "diretta", come la definisce, per promuovere la propria attività in maniera un po' più accattivante. D'altra parte c'è la crisi, si sa e poi non vi è nulla di sconveniente perchè le ragazze sono consenzienti ( o accondiscendenti?), devono solo farsi guardare un poco, sorridere e comunque lui le paga, infatti ha regalato ad entrambe una borsa firmata. "Mostratela ragazze!": loro si scambiano uno sguardo di intesa e soddisfatte e sorridenti obbediscono.


Pare che nessuno tra i presenti rimanga troppo stupito, e lo stesso conoscente a cui l'accompagnatore racconta la propria vicenda ride divertito senza dare il minimo peso a quanto gli viene riferito. Nessuno commenta, sembra tutto normale. Ognuno torna a leggere il proprio libro, il giornale, si rimette le cuffie dell'iPod, e lo sguardo si abbassa nuovamente. Dopo qualche minuto di elogio alle ragazze per la loro bellezza, il signore, ad alta voce, ricorda a tutti i presenti che le stesse fanciulle, e molte altre ancora, si esibiranno ed intratterranno tutte le sere i clienti del suo bellissimo cabaret; distribuisce quindi qualche depliant pubblicitario poi, richiamate le ragazze che intanto chiacchieravano silenziosamnete fra loro mostrandosi a vicenda le borsette, orgogliose, esce dalla sala d'aspetto e tutti e tre salgono su una berlina nera che si allontana velocemente dalla stazione.

Rimane però il fatto. Può un oggetto di marca rappresentare qualcosa di così importante, fondamentale, necessario al punto di modificare o piuttosto di determinare il comportamento di una persona?


Il nostro comportamento e le nostre modalità di pensiero risultano essre strettamente legate, ed in larga parte influenzate, dai marchi dei prodotti, secondo quanto riportato da una ricerca americana condotta dalla Duke University di Durahm, nel Nord Carolina. Ciò significa che il brand influenza i possibili acquirenti determinando un comportamento in linea con il messaggio di cui è portatore il brand.

Voglio chiarire quest'ultimo aspetto, apportandovi qualche esempio. La borsetta Gucci di cui ho scritto è un oggetto che, insieme alle altre borse ed accessori di marchi in voga, alla moda, diventa quasi irrununciabile per lo stereotipo della "ragazza moderna". E non importa il costo eccessivo, quasi esorbitante dell'oggetto in questione, non è certo perchè è prodotto, forse, in Italia con materiali particolari e di qualità che lo si acquista. L'importante è che si noti in maniera, direi, sfrontata, che appartenga al marchio alla moda. E com'è curioso - o forse più spaventoso - vedere tante ragazzine in centro città che passeggiano, tutte vestite rigorosamente nello stesso modo, con gli stessi accessori firmati, la stessa borsetta.

Certo, per coloro che si occupano di marketing tutto ciò rappresenta un traguardo, un successo, il frutto di un'arte, quella di influenzare la gente, forse nemmeno così difficile da praticare oggi. Si mette in luce il brand, lo si pubblicizza, così si attirano nuovi potenziali clienti e si fidelizzano quelli già acquisiti. E se l'oggetto di marca costa molto, ancora meglio, tanto ci si può sempre giustificare dicendo che è sinonimo di qualità. O di follia collettiva?


Che cosa significa tutto ciò oltre l'ambito economico - commerciale? Attualmente il carattere sociale di questo argomento non viene affatto preso in considerazione in studi o ricerche; al massimo ci si limita ad affermare che il brand influenza il comportamento del consumatore finale.

Ritorniamo per un istante alle ragazze in stazione, intimidite ma presto rassicurate dalla loro borsetta Gucc, un tesoro stretto tra le mani fresche di manicure. Il marchio non genera solo attrazione verso l'oggetto, la borsa ad esempio, bensì ne mette in risalto anche il possessore. La ragazzina impaurita, insicura, cerca sicurezza nel marchio, provocando un atteggiamneto prepotente, strafottente, di potere e tutto viene così ricondotto ad un brand che non è altro che pura esteriorità, superficialità.

Non importa se sei alta bassa mora bionda laboriosa pigra: se hai una borsa firmata vai benissimo così; è come un passe partout univoco, che funge anche da scudo di protezione, un po' come gli scettri magici delle eroine dei cartoni animati.

Ma è anche un oggetto da baratto: le ragazze che ricevono la tanto sospirata borsa Gucci e si prestano a pubblicizzare con il proprio corpo un locale. Poco importa se sono poco vestite, se si sentono in imbarazzo, se dal loro viso si intravede il disagio, perchè appena si ricorda loro che posseggono quel tesoro cambiano espressione. In fondo, certo, ci hanno guadagnato: un oggetto tanto carico di simbologie tutto per loro!


Le ragazze di cui vi ho parlato sono quello che definirei lo "stereotipo della bellezza famminile" - forse un po' forzata, o solo un èpo' aiutata?- di oggi. Un aspetto, questo, da tenere particolarmente in considerazione, in quanto potrebbe rappresentare una delle possibili chiavi di lettura della problematica che sto affrontanto. Come?

Innanzitutto, cerchiamo di pensare allo stile di vita di queste ragazze e a cosa aspirano, ricordando che occorre fare almeno una distinzione a questo proposito. Vi sono infatti le giovani, magari di buona famiglia, che un po' per vizio e un po' per sfizio desiderano ed ottengono ogni tipo di accessorio firmato, dalla borsa di Gucci, alla cintura, al tipo particolare di calzatura, ad esempio, e poi vi sono quelle che probabilmente di buona famiglia non sono, che ottengono l'accessorio firmato come privilegio per un servizio - di vario genere, direi, ma che quasi sempre interessa la mercificazione del loro corpo - da loro prestato, come nel caso che ho citato delle ragazze in stazione. L'unico denominatore comune fra quelle che potrei definire come "categorie maggiormante influenzabili dal brand" è il senso di appagamento e di soddisfazione di fronte all'oggetto firmato, generato dal fatto di sentirsi più sicure, più spavalde nei confronti degli altri; le differenze invece sono un po' di più, sono sempre di natura negativa come ciò che le accomuna e, soprattutto nel secondo caso, arrivano ad essere davvero raccapriccianti.


Nel primo caso l'amore spasmodico per la marca è, potremmo dire, tutelato dalla presenza di una famiglia, un qualcuno che nutre fino a viziare il bisogno, la voglia, il desiderio irrefrenabile di avere una borsa, o comunque un accessorio firmato per sentirsi più facilmente accettati da un gruppo di persone, di "amici" la cui stima è direttamente proporzionale al numero di accessori Gucci, ad esempio, che si possiedono. La famiglia, o chi per essa, che alimenta, o che comunque non combatte, questo insano aspetto non è certo una giustificazione o piuttosto un aspetto che reca legittimità al fatto, tuttavia si spera che possa fungere da filtro, almeno provando a stabilire un limite a questa "sete di brand".


Nel secondo caso, invece, la situazione si complica poichè non si presuppone più che coloro i quali barattano la borsa o l'accessorio firmato con un servizio offerto dalla ragazza, siano persone affettivamente vicine alla stessa, anzi, molto spesso si tratta di persone che ragionano esclusivamente in termini di bisogno. In questo tipo di situazione, l'influenza del brand diventa un pretesto per qualcosa di molto più sporco e raccapricciante del sentirsi più facente parte di un gruppo. Sto parlando di un mercato di apparenza e manipolazione, dove si sfrutta la vulnerabiliotà di una ragazza magari nulla ( o ben poco) tenente, affascinata dal lusso e dall'eleganza, che tenta di sopravvivere come può e, capendo di poter contare su bella presenza emagari un carattere spigliato, mercifica il proprio corpo. Affascinata dal brand, accecata dalla bellezza dell'oggetto firmato e da ciò che può rappresentare - il passe partout univoco - la ragazza in questione si lascia sfruttare da coloro che non sanno nemmeno cosa sia la decenza ma che conoscono molto bene la vulnerabilità che un brand può generare. Si diventa così protagonisti di una manipolazione subdola, dove si è vittime di qualcosa a cui sono dati molti nomi, come TV, spettacolo, scandali, prostituzione, ma che fa sempre più parte della quotidianità, basti pensare all'esperienza di cui ho scritto all'inizio.


Dunque è un mondo di apparenza e di manipolazione che investe sempre più ambiti della nostra vita, poichè è facilmente ed irrimediabilmente adattabile ad ogni tipo di realtà, dove una ragazza è ritenuta niente di più che una merce, da scambiare infatti con altra merce, come una borsa Gucci. La differenza con il primo caso balza agli occhi, ed il brand oltre che chiave universale diventa anche oggetto di convincimento che il mercificarsi può anche avere aspetti positivi.


Sembra assurdo? Se delle ragazze arrivano fino a questo punto vuol dire che sono abbastanza sbandate da non vedere altra soluzione o, tra le altre, di reputarla la migliore, e la mia esperienza ve lo può dimostrare purtroppo, o per fortuna.

Tuttavia, che si tratti di ragazze di buona famiglia o di giovani sbandate, il brand influenza a tal punto da diventare qualcosa di irrinunciabile.


Per gli scettici che pensano si tratti di una situazione rara a verificarsi, voglio far presente che per il 90% dei giovani in Italia fra i 15 ed i 30 anni, il marchio è talmente importante da spingerli a manifestare le proprie preferenze a riguardo anche su internet, attraverso social network come Facebook e Twitter. Inoltre, almeno il 38% ( una persona su 4 per essere più chiari) dei ragazzi fra i 20 ed i 30 anni segue circa 7 brand online.

E' la realtà, dunque, che ha assunto un aspetto di normalità quasi disarmante e che non coinvolge solo l'ambiente della TV e dello spettacolo: ascoltata la spiegazione del proprietario del cabaret, tutti i presenti in sala d'aspetto abbassano lo sguardo, quasi con un sospiro di sollievo.


Per me si tratta di vera perversione, non di realtà. Per me conta ancora quello che una persona sa trasmettermi, la sua personalità, il suo carisma, e la borsa di Gucci non mi interessa in questo contesto. Ringrazio di non sentire il bisogno spasmodico di un oggetto per presentarmi, per creare delle relazioni, con gli altri, per proteggermi o per imparare a comportarmi. Mi divertirebbe molto vedere come molti basano tutto su un brand, se ciò non mi procurasse un intimo dispiacere. E' un peccato vedere delle ragazze, che sotto un corpo di donna nascondono ancora una bambina impaurita, annullarsi solo per una borsa, comportarsi in maniera talmente innaturale che, se non fosse per quella bambina che è in loro, apparirebbe quasi volgare. Ma in fondo basta non pensarci troppo, in effetti per un compenso simile lo scrupolo può essere soffocato!


E' così assurdo, che definire tutto ciò triste non sarebbe sufficiente e, come nel secondo caso, parlare di vergogna non ridurrebbe certo un fenomeno di tale portata.


Quando tutti hanno abbassato gli occhi, ritornando tranquillamente ognuno alle proprie occupazioni, io, sempre più stupita - o magari inorridita, non saprei - continuo a guardare la scena. Incrocio lo sguardo di una delle ragazze, che appare abbastanza spesata ma tutto sommato felice. Allora mi guarda a sua volta, cerca di sistemarsi un poco il vestitino succinto e probabilmente firmato, poi stringe un po' più a sè la borsa, quasi accarezzandola.








Nessun commento:

Posta un commento